racconto
racconto storico
Estratto dal romanzo "Rubli e Lire” (PlaceBook Publishing) e presente nella raccolta antologica di AA.VV. “Hostaria Patrizia 2023 – Piacevoli incontri tra cucina e narrativa” (Macchione Editore) pag. 109
In quegli anni, 1950-1960, non era difficile trovare un posto di lavoro,
anzi c’era
la possibilità di scelta.
Aurora si poteva ritenere fortunata in quanto, senza cercare, le era stato proposto
e poi offerto “quel” posto di lavoro tanto sognato.
Era felicissima! Finalmente niente più turni nelle corsie di un ospedale, ma un
lavoro giornaliero.
Oggi la chiamerebbero “la signorina della Reception” del laboratorio medico PRECU
(PREvenire è meglio che CUrare) con mansioni “tuttofare”, che comprendevano anche
attività di segreteria tecnica e amministrativa oltre che la strategica e delicata
attività di rapporti con i fornitori.
Si era iscritta a Medicina ma sia la guerra sia, soprattutto, le
vicende familiari
l’avevano costretta ad abbandonare gli studi.
Il suo ex-marito era ritornato in Austria, dove conviveva in uno chalet alle porte
di Innsbruck con una donna. Lei era molto più giovane di lui e di una bellezza
nordica talmente marcata da far girar la testa.
Quello che più feriva Aurora era il pensiero alla felicità di Hans e alla totale
certezza dei paragoni che lui avrebbe fatto.
“Non mi ritengo una moglie perfetta, d’accordo, forse un po’ irascibile, qualche
volta disordinata ma sempre fedele!”
La fuga del marito avvenne in un modo sconcertante nella sua banalità.
Sul comodino della camera da letto, Aurora aveva trovato un foglio di quaderno,
tagliato a metà, con una scritta in stampatello, quasi a voler nascondere la propria
grafia: “MI VEDO CON UNA DONNA DA OLTRE UN ANNO. NON VOGLIO E NON POSSO PIU’
MENTIRE. ADDIO. HANS.”
Un dato era certo perché Hans, adducendo nuovi impegni di lavoro da sei mesi
capitava che, ogni tanto, non rientrasse la notte.
Il diluvio delle supposizioni le era tracimato, trasformandosi in ossessione.
Consapevole d’inutili e sterili lacrime, di riflessioni e congetture, si era posta
l’obiettivo di conoscere la verità.
Soffocare i dubbi nell’incertezza, non aveva senso. Si chiedeva quale fosse il
percorso più idoneo.
Una notte i suoi pensieri furono interrotti dalla percezione di rumori sul
pianerottolo, da un leggero girar di chiave nella serratura e da passi felpati che
si avvicinavano. Tremava di paura, rendendosi conto di essersi spaventata senza
motivo. Hans era tornato a casa, “chissà da dove”, pensò.
La risposta avvenne in tono seccato: “Sono io l’uomo di casa e non devo fornire
spiegazioni a nessuno.”
Aurora, con in mano il biglietto, si era messa a piangere e pianse tutte le lacrime
per l’intera notte. Pensò al grande fuoco che l’aveva fatta vibrare.
Avevano in comune cinque anni di avvenimenti, gioie e pene, litigi e
riconciliazioni, progetti e sogni. Soprattutto un frutto mai nato e mai sbocciato
aveva contribuito a far degenerare il loro rapporto sessuale.
La mattina successiva costatò, dopo un rapido sguardo ad armadi e cassetti, che Hans
si era portato via abiti, camicie e scarpe.
Essendo però una donna di carattere forte, razionale e determinato, si disse,
guardandosi allo specchio: “Non fare la scema, oggi è un altro giorno. Il dolore non
si può delegare e, pertanto, nessuno te lo rimuove. Forza ragazza, che ce la farai!”
Cambiò quartiere a Milano, promettendo solennemente a sé stessa che non si sarebbe
mai più lasciata incantare da qualsiasi altro uomo. Li avrebbe fatti invaghire e poi
gettati via come stracci, facendoli soffrire.
Ecco il magico verbo: soffrire.
Doveva in qualche modo vendicarsi, diventando una specie di ‘giustiziera’ nei
confronti del sesso maschile.
Aurora si era dovuta cercare un lavoro e, vista l’esperienza, aveva preferito la
mansione d’infermiera, entrando a far parte anche del sindacato giacché, con il suo
modo di porsi, aveva dimostrato simpatia, intelligenza e determinazione tra le
colleghe. In questo nuovo ruolo si sentiva importante, realizzata e i suoi
clienti-pazienti la stimavano molto.
Aveva sempre una buona parola o un’informazione suggerita con il sorriso, in
particolar modo verso i bambini e le persone anziane. Quando le telefonavano per un
appuntamento, si accertavano che fosse lei a riceverli.
Si era sentita un po’ in imbarazzo quando il professor Brambilla l’aveva accolta nel
suo studio.
Il titolare della PRECU le aveva comunicato: “Complimenti, signorina Galbiati, a
fine mese inizierà il suo nuovo lavoro presso uno dei primi laboratori più famosi ed
efficienti nati a Milano. Si divertirà tra lastre, prelievi, fatture, ricette,
persone ansiose e impaurite. Avrà la massima autonomia su come gestire le diverse
attività. Non ho dubbi, vista la sua esperienza e l’acclarata abilità di
sindacalista, sulla positività della mia scelta.”
Una sera, come al solito, Aurora aveva lasciato gli scantinati per raggiungere il
suo fatiscente albergo a una stella situato dalle parti di Precotto.
La nebbia e l’inquinamento di questo rione erano il duro prezzo che la città stava
pagando per un inizio di sviluppo disordinato e senza controllo.
Sentì l’ululato di una sirena. “Sarà la solita ambulanza che si dirige
all’ospedale.” Rifletté condizionata dal suo retaggio professionale. Invece, era un
mezzo dei vigili del fuoco che, con lampeggianti e sirene spiegate, cercava di farsi
largo e superò a fatica l’ingorgo che si era creato.
Polizia e carabinieri avevano bloccato la via che l’avrebbe condotta all’albergo.
Non aveva idea di cosa fosse successo.
Sgomitando, raggiunse le transenne che erano state installate per bloccare la
strada. Quello che vide era una donna dalla pelle bianchissima, con la capigliatura
bionda, dove le luci dei lampioni danzavano fra le ciocche rapprese dei capelli e le
lambivano le cosce lucenti.
Vicino a lei era steso un giovane dalla pelle di color ebano, forse un soldato
americano che si era voluto fermare in questa città, con gli occhi e la fronte
spaccati in seguito alla caduta dalla bicicletta.
Probabilmente aveva la donna sulla canna della bici, forse le ruote si erano
incagliate nell’incavo della rotaia, forse…
Di fatto, entrambi erano andati a sbattere contro una pigna di tubi di ferro
acuminati.
Lei giaceva placida con la parte acuminata del freno affondata nel collo che la
ricopriva di una rossa velatura.
Aurora meditava spesso sulla quotidiana stranezza e crudeltà del suo lavoro, attuale
e precedente ma, in questo frangente, immaginava che questi due cadaveri si
potessero incontrare e magari fidanzare sulla fredda copertura di asfalto umido.
Era il gelido teatro della morte che spesso le offuscava la mente. I suoi occhi
superarono la visuale delle transenne e si posarono sui binari del tram, binari che
diventavano allegoria degli uomini di quel tempo.
Trovava inutile lo slancio delle rotaie che non le portava né ad avvicinarsi né a
liberarsi dal peso delle carrozze che tutti i giorni le schiacciavano.
Come gli uomini di questa città, presi da una corsa che invece di unirli li isolava,
rifletteva sul ruolo dei binari che erano e rimanevano sempre incongiungibili.
Sempre apparentemente più vicini in una lontana prospettiva, ma mai in contatto fra
loro.
Capitalismo e comunismo, due binari lungo la rotta del lavoro.
Rinunciò a proseguire e cambiò strada, sconvolta, sola, abbattuta e incapace di
alcuna reazione. Lavoro di merda! Osservò queste due lunghe file di ferro luccicante
che correvano verso il nulla.
Freddi binari che accompagnavano, tutti i giorni, una fredda esistenza dall’incerto
futuro dove solo la morte rappresentava una certezza
Sono autore e commediografo, in cerca di contaminazioni culturali
Ho all'attivo la pubblicazione di decine tra romanzi, racconti e sceneggiature.
Oggi mi dedico a creare occasioni di scambio culturale col pubblico grazie alla realizzazione di
eventi, recital e presentazioni che coinvolgono attori, musicisti e artisti visivi a partire dalla mia
parola scritta.
I miei ultimi romanzi:
"Dubbi e tensioni di
un giovane investigatore" (Macchione, 2023)
"Identità in conflitto - Africa e dintorni"
(Placebook Publishing, 2023)