Tania

racconto storico

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Tania

racconto storico

Estratto dal romanzo "Sogni a Gavirate... Amori ad Angera”


Quella mattina Gildo si svegliò pervaso da un profondo senso di amarezza. Richiuse subito gli occhi, feriti dal pungente chiarore che entrava dalla finestra socchiusa, nel tentativo di riafferrare le dolci sembianze della ragazza che aveva appena sognato.
Ma fu tutto inutile. Il sogno si era dileguato definitivamente, come neve ai primi tepori.
Si alzò a sedere sul letto, deluso e abbacchiato. Le sere successive si addormentò, sicuro che la bella immagine di Tania sarebbe tornata a fargli compagnia, come gli era successo, abbastanza sovente, negli ultimi mesi.
Purtroppo ogni risveglio sfociava in nuove delusioni. Era come se una pellicola, vista e rivista un’infinità di volte, si fosse improvvisamente strappata e l’operatore non fosse più in grado di rincollarla.
Passarono i giorni, passarono le settimane, passò qualche mese, ma Tania non ricomparve più ad allietare i suoi sogni. Si sentiva come defraudato, derubato di qualcosa di prezioso, di qualcosa che gli apparteneva da tempo.
Ne soffrì dolorosamente. Tania era stata sua compagna di classe nei cinque anni degli studi superiori. Dapprima Gildo non si era accorto di lei. Allora, nonostante i suoi sedici anni, era ancora una ragazzina timida e acerba che scompariva, letteralmente, davanti alla rigogliosa pienezza di qualche altra compagna di classe. Sedeva al primo banco, dove gli eletti bravi e intelligenti prendono posto d’abitudine. Lei era, anzi, la più brava della classe.
Gildo incominciò a notarla appena all’inizio del terzo anno scolastico, quando la sua grazia fragile e minuta prese a fiorire in armoniosa bellezza. Il suo sorriso si tingeva di smaglianti colorazioni, mentre i suoi occhi, neri e profondi, acquistavano languide e misteriose sfaccettature.
Se ne innamorò, ma non subito. Pian piano, giorno per giorno, quasi senza accorgersene e la musica ne fu complice galeotta. Lei frequentava, nel pomeriggio a giorni alterni, la sua stessa scuola di musica. Studiava pianoforte già da parecchi anni e faceva anche parte dell’orchestra della città che spesso si esibiva in serate al Grand Hotel des Iles Borromées. Gildo invece, anche lui con la musica nel sangue, suonava la chitarra elettrica, una Gibson a sei corde bianca avorio.
Aveva però iniziato alcuni anni prima strimpellando su una chitarra acustica Eko Studio di seconda mano accompagnando le canzoni con partiture musicali di cui capiva solo gli accordi. Non sapeva leggere uno spartito.
Un po’ per colpa di suo padre, un po’ per colpa sua, era convinto, nella sua bonaria ingenuità, che la vita incominciasse a diciott’anni. Quando si rese invece conto che a quella età molte cose avrebbero già dovuto essere giunte a maturazione, ne fu come sorpreso.
Ciò non gli impedì di iscriversi, testardo e volitivo, al primo anno della scuola di musica. Fu imbarazzante, all’inizio, più per gli altri che per lui, vedere un giovanotto già grande e grosso, di diciassette anni, che prendeva le sue prime lezioni di chitarra, di teoria e di solfeggio. Ma i progressi furono, in compenso, veloci ed entusiasmanti.

Gildo incontrava Tania durante le lezioni di teoria. S’imbatteva in lei tre volte la settimana. Sempre più innamorato cotto di lei, s’inebriava solo a guardarla. Essendo però timido di natura, non osava dichiararsi. Aspettava con ansia l’ora delle lezioni per poterla rivedere e per parlarle. Poi, invece, quando l’occasione arrivava, lui rimaneva muto a fissarla, senza sapere come e da dove incominciare. “Perché non riesco a farlo?” Continuava a rimuginare. “È semplice, a dirlo, ma non ne sono ancora capace. Materializzi sempre, davanti ai miei occhi, la tua immagine. So che non sei qui. Capisco che il tutto deriva da un prodotto della mia mente, ma ti vedo. Bella, sorridente, felice che mi vedi e non mi guardi, come sempre. Sto soffrendo in silenzio forse sapendo che per te non esisto. Ormai ho perso il conto dei mesi vissuti nell’illusione tutta mia che un giorno, forse, grazie a un miracolo, l’avresti fatto. Tu non mi hai dato speranze, mai, e allora perché amarti cosi? Perché farmi del male?”

Un giorno, durante l’ultima lezione dell’anno scolastico, spaventato dall’idea di non rivederla più per tutta l’estate, raccolse in sé il coraggio dei disperati, aprì il libro di solfeggio alla prima pagina e vi scrisse, bene in vista, vicino al nome dell’autore, la frase: «Tania, ti amo!»
Poi, furtivamente le passò il libro sottobanco. Il cuore gli martellava furioso in gola. Credeva di soffocare. Lei lesse con attenzione la frase, poi si voltò con calma e gli restituì il libro. Un sorriso furbesco le increspava il volto. Il resto della lezione fu per lui un martirio. Non riusciva a capire se la sua dichiarazione d’amore, per quanto muta, le avesse fatto piacere. Non riuscì a capirlo né allora né in seguito.
L’anno seguente, a scuola, la ragazza fu stranamente prodiga di elogi per lui; non esitava a lodare le sue doti musicali davanti ai compagni di classe e, se si presentava l`occasione, anche davanti agli stessi professori. Il loro rapporto diretto non mutò però di una virgola: cortese, premurosa, gentile, ma niente di più. Lui invece la sognava ad occhi aperti, la cingeva di un’aura mistica, la desiderava ardentemente.
Non trovava più il tempo per lo studio e neppure per il gioco. Un`ossessione bruciante che durò, con alti e bassi, fino alla fine degli studi superiori, senza che lui si decidesse ad avvicinarla e chiederle la ragione di quella sua garbata indifferenza, per aprirle l`animo ferito e offeso. Non andò deliberatamente a nessuna festa alla quale lei partecipasse e cerco di evitarla il più possibile. Ma ne era sempre innamorato, perdutamente e dolorosamente innamorato.
Finiti gli esami di maturità, Tania con la ben nota bravura, lui un po’ meno, scomparvero entrambi nei flussi sconosciuti e imprevedibili della vita. Gildo non cercò mai di sapere, posseduto da una ritorsione acida e testarda, dove lei si trovasse, se si fosse sposata o meno, se avesse avuto dei figli.
La cancellò letteralmente dalla sua memoria, ma non riuscì, però, a cancellarla dal suo subconscio. Lei ritornava regolarmente a tormentarlo, bella e desiderabile, nell’intimità dei suoi sogni.

Con gli anni il tormento si stemperò, fino a mutarsi in latente dolcezza. Sognava di averla sposata, di partire con lei verso paesi lontani, pieni di vita e di sole. Il suo volto era diventato il volto stesso dell’amore.
Quando voleva disintossicarsi dalla quotidianità della vita, quando voleva dimenticare brutture e delusioni, allora la sognava e si riappacificava con la vita e con il mondo.
Aveva scoperto che Tania Cardin era figlia di veneti scappati dopo l’alluvione del Polesine nel novembre 1951. Fu un evento catastrofico che colpì gran parte del territorio della provincia di Rovigo e parte di quello della provincia di Venezia, causando circa cento vittime e più di 180.000 senzatetto, con notevoli conseguenze sociali ed economiche.
La rivide, per puro caso, dopo lunghi anni, a teatro, al Nazionale di Milano. Gildo teneva sottobraccio Marta. Fu Tania ad avvicinarsi alla coppia e a parlargli. Nel trovarsi così inaspettatamente davanti a lei, alla materializzazione dei suoi sogni ricorrenti, la profonda ferita, cicatrizzatasi con il tempo e con la lontananza fisica, si riaprì improvvisa e riprese a sanguinare copiosamente. Le rispose a monosillabi, con secca asprezza.
Fu tentato di gettarle in faccia tutta la sua risvegliata rabbia, la sua lancinante amarezza, ma si trattenne, seppure a fatica visto che aveva Marta al suo fianco e non voleva drammatizzare.
Tania si scusò con la donna, prese Gildo per un braccio, lo allontanò e gli rivelò di sentirsi scottata dal suo gelo e dalla sua indifferenza, rinfacciandoglielo. Gildo incassò, senza battere ciglio, chiudendosi ancora di più nel suo guscio protettivo. Poi, non resistendo oltre, si accommiatò con vetrosa noncuranza. Con il tempo la sua immagine, che conservava pur sempre gelosamente nello scrigno più nascosto del cuore, riprese lentamente il sopravvento, sostituendosi alla fredda e acida presenza che aveva incontrato quel giorno a teatro.
Da quel fatidico giorno lei però non riapparve più nei suoi sogni. Egli non riusciva a comprenderne la ragione. Si sentiva ingannato, tradito. Incominciò a sentire nostalgia di lei. Erano trascorsi parecchi anni dal suo addio alle aule scolastiche e di conseguenza da Tania.

Ora, a distanza di molto tempo, questo secondo e ancora più acido addio: perché? Decise di rivederla. Non poteva rimanere con quel dubbio che lo ossessionava e non gli dava pace. L’occasione si presentò di lì a poco.
Andrea, diventato uno pseudo rivoluzionario comunista e suo ex compagno di scuola, gli telefonò un giorno invitandolo a presenziare alla cena che si sarebbe tenuta in un noto locale di Arona per festeggiare il loro anniversario di conseguita maturità. Gildo non vi aveva mai preso parte. Aveva sempre trovato una scusa, anche la meno convincente e banale, per giustificare il suo rifiuto. Non poteva certo rivelare ai compagni e alle compagne di scuola che non aveva nulla in comune con loro: né idee, né gusti, né amicizie, né interessi. Durante i diversi anni di vita scolastica in comune non era riuscito a instaurare con loro una vera amicizia. Forse era il lago che li separava. Le sue amicizie erano in provincia di Varese.
Estranei erano rimasti allora, pertanto e a maggior ragione, distanti e lontani dopo anni di distacco e di reciproco silenzio. Questa volta, pero, Gildo decise di andarci. L’unico motivo era la presenza di Tania. Si accertò infatti, prima di aderire, che lei fosse presente.
Quel sabato sera arrivò tardi a cena. La mancanza di puntualità era comunque un suo vizio ben radicato, una sua inconscia forma di protesta verso tutto ciò che riguardava orari e impegni prestabiliti, perciò nessuno rimase sorpreso. Destino volle che sedesse proprio di fronte a Tania, come se qualcuno avesse provveduto a tenerglielo riservato. Pensava di trovarla molto cambiata.
Cercò subito, come d’istinto, il segno di qualche ruga traditrice intorno agli occhi e agli angoli della bocca. Ma non trovò nulla. Il viso era rimasto fresco. Gli anni avevano mutato solo la patina della sua carnagione; una volta bianca e delicata, ora bruna e colorita.
La sua espressione di eterna bambina si era trasformata in quella di una donna cosciente e matura. Era sempre molto bella. “Sorprendentemente bella,” rifletté Gildo “se pensiamo che i sogni finiscono sempre per abbellire le sembianze delle persone amate.”
Si trovò a desiderarla nuovamente, come prima. Provò l’acuto pizzicore di corteggiarla. Tania era disinvolta, aperta, in vena di ricordare e di parlare. Ma giunse presto qualche nota stonata a incrinare il suo ridestato desiderio di conquista.
Sull’onda delle sue parole confidenziali arrivava anche un sottile e freddo venticello che raffreddò lentamente il suo entusiasmo. L’incanto dell’ingenua e frizzante ragazzina di un tempo si era dissolto. Lei gli raccontava con fervore della sua attuale soddisfazione di donna.
“Non desidero avere più figli, perché danno solo pensieri e limitano la libertà.” Narrava del suo raggiunto equilibrio, dopo aver volontariamente sepolto tutti i sogni e le chimere che la rendeva ragazza timida e instabile. Cercava di dipingere con i colori dell’entusiasmo il traguardo del suo matrimonio «moderno», aperto alle personali e libere esperienze di ciascuno dei due coniugi, senza che ciò limitasse la libertà e la personalità dell’altro.
“Non voglio più tornare indietro, perché soltanto ora ho raggiunto la mia stabilità emotiva, la mia vera sicurezza.”
Gildo la osservava con lo sguardo velato, assente. Una cortina di tristezza si era posata sul proscenio del cuore. Ora aveva finalmente capito perché Tania era improvvisamente scomparsa dalla scena dei suoi sogni. Perché era morta, per lui non esisteva più e la sua anima non riusciva a percepire le cose morte. Tania, la dolce, ingenua, timida ragazzina degli anni di scuola, era svanita per sempre.
Era stata sostituita da una donna matura, amara, nella sua pur lucida coscienza, sordamente soddisfatta della sua vita attuale, priva ormai d’ideali, di slanci sentimentali, di sogni brucianti. La sua stessa bellezza, ancora viva e raggiante, gli sembrava come inaridita.
“Povera Tania,” pensò “che ha voluto volontariamente disfarsi della sua giovinezza.” Lui non avrebbe mai potuto fare una cosa simile. Non tanto la rinuncia alla giovinezza degli anni, che l’uomo non può fermare, ma alla giovinezza dell’anima e dei sentimenti.
Lui sapeva benissimo che impedire di dissetarsi alla fonte rigeneratrice dei sogni, ai tormenti d’amore, ai turbamenti del mistero, al desiderio di un domani sempre nuovo e imprevedibile, voleva dire abdicare alla vita stessa.

C’era qualcosa in lui che lo rendeva perennemente irrequieto, ma sempre aperto ai soffi che lievitavano dal quotidiano.
Più passavano gli anni e più lui era in attesa di un qualcosa di nuovo, di straordinario, di pieno. Il suo cuore era di un eterno fanciullo, di un inguaribile accumulatore di sogni.
Deluso e amareggiato, lasciò che la serata gli scivolasse accanto con il minor fastidio possibile. Poi, in strada, nel buio ormai fitto e compatto, la salutò con mestizia. Gli parve di salutare un’estranea.
Senza più voltarsi s’incamminò verso la sua Guzzi, con un’ombra nel cuore; l’ombra nera di un addio definitivo.
“A volte la vita richiede a ciascuno di noi di essere più forti di quanto lo siamo in realtà.” Gli aveva dichiarato un giorno mamma Luigia.

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Daniele Ossola - scrittore e regista

Sono autore e commediografo, in cerca di contaminazioni culturali
Ho all'attivo la pubblicazione di decine tra romanzi, racconti e sceneggiature.

Oggi mi dedico a creare occasioni di scambio culturale col pubblico grazie alla realizzazione di eventi, recital e presentazioni che coinvolgono attori, musicisti e artisti visivi a partire dalla mia parola scritta.

I miei ultimi romanzi:
"Dubbi e tensioni di un giovane investigatore" (Macchione, 2023)
"Identità in conflitto - Africa e dintorni" (Placebook Publishing, 2023)


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