DALLA PARTE SBAGLIATA

Lago di Garda 1944. Durante il periodo della Repubblica di Salò, l’Hotel Impero, splendida struttura liberty alle porte di questa graziosa cittadina affacciata sul Garda Occidentale, è il fulcro della bella vita da parte di ufficiali italiani e tedeschi. Qui ci lavora Paolo, un poeta che si è adattato a fare l’aiutante cuoco nell’Hotel e con un fratello che ha deciso per la dura e assai rischiosa vita del partigiano.
Soprattutto verso sera, tra il luccichio delle lampade lungo il litorale riflesse nell’acqua, si vedono donne bellissime che giungono da Venezia o da Milano, arrivare su nere e lussuose auto di servizio che percorrono il ghiaioso viale di accesso ornato da vetusti platani, salire la maestosa scalinata con abiti fruscianti come mazzi di rose e svanire nelle varie stanze del primo piano.
Il profumo rimane nell’aria quando il pesante portone di ferro battuto e vetro si chiude con un tonfo lugubre e allora Paolo le immagina nude ad aspettare. Sono attrici scappate da Roma o cantanti non ancora famose che, dopo l’arrivo degli Americani, si sono trasferite nel nord della Penisola.
Si fermano all’Hotel Impero per una notte o per una stagione e, di mattina, non hanno pudore, quando scendono per colazione, a mettersi a cantare canzoni che inneggiano all’Impero Fascista, quasi a esorcizzare una guerra che non vogliono che finisca. Sarebbe solo a loro scapito.
Invece Paolo vorrebbe che finisse questa guerra maledetta perché pensa sempre a suo fratello minore, che si è arruolato nei partigiani dell’Ossola col nome di battaglia “Marco”. Lo pensa soprattutto di sera, perché da dietro a quei monti della Bresciana, si sentono colpi non troppo lontani.
A ogni colpo Paolo pensa a Marco e, tra sé e sé, riflette: “ C’è chi dice che sono banditi e altri dicono che sono gli Americani. Io mi chiedo che faccia faranno quando, al loro arrivo, mi troveranno in cucina e magari vorranno qualcosa per cena.”
E il fratello, sulle montagne della Valgrande, nell’ora del tramonto, con il cannocchiale attaccato agli occhi, dice al suo Comandante che dietro quel monte ci sono i Tedeschi inferociti che stanno rastrellando la campagna e giù, in mezzo a quel prato, c’è una contadina che lui conosce.
Si chiama Adele, ha cinquant’anni ed è curva, sembra una bambina ma ha cinque figli, venuti al mondo, lui dice, come conigli, che sono partiti come soldati e non si hanno più notizie di loro perché nessuno di loro è ancora tornato.
Nel frattempo Paolo, dietro ad una pentola dove sta rosolando il burro per il risotto, scatena la sua vena poetica e declama sottovoce: “Se quest’acqua di lago fosse acqua di mare, quanti pesci potrei cucinare stasera; anche un cuoco può essere utile in mezzo a un diluvio e se anche stiamo naufragando, perché la barca continua a fare acqua, dobbiamo pur mangiare!
Purtroppo qui si vuol continuare a fare l’Italia e si continua a morire, dalla parte sbagliata.
In un solo giorno si muore, anche se è una bella giornata di sole, dalla parte sbagliata, comunque, sempre si muore.”
Marco, invece, legge un dispaccio al suo Comandante, dove c’è scritto che i treni che vanno verso sud viaggiano solo di notte a luci spente e non fanno più fermate, neanche per pisciare, pensa Marco. Questi vagoni vanno dritti a casa, con ufficiali che non pensano più che la guerra è bella anche se fa male e con soldati che torneranno ancora a cantare e a fare l’amore, l’amore con le infermiere degli ospedali militari, prima di essere rimessi in sesto e poi venire congedati.
Dall’altra parte Paolo, mescolando lentamente il risotto in cottura, continua come in una nenia: ”Se l’acqua di questo lago potesse ascoltare, quante storie potrei raccontare stasera. Soldati di quindici anni costretti a combattere con scarpe rotte, sbranati dalle bombe. E si continua a morire dalla parte sbagliata con l’idea di fare l’Italia o morire”. Si sentono rumori di granate lontane e Paolo assaggia il grado di cottura del risotto. Non vuole prendere giorni di consegna perché sa che il Colonnello Artioli, da buon vercellese, è un fine intenditore.
Marco, dietro a un grande cespuglio di ginestre e sempre aggrappato al suo cannocchiale, urla: “Comandante, i tedeschi se ne vanno, la guerra è finita, il nemico è scappato, è vinto, è battuto. Dietro la montagna non c’è più nessuno!” E pensa che nei boschi sono rimasti solo aghi di pino e silenzio assoluto. Si potrà finalmente andare a cogliere i funghi, buoni da mangiare e buoni anche da seccare, per farci il sugo in occasione del prossimo Natale. Questa grande festa, questo magnifico giorno dedicato alla vita in cui i bambini sono eccitati e piangono e non vogliono andare a dormire.
Libero adattamento tratto dai testi delle canzoni “Il cuoco di Salò” e “ Generale” di Francesco de Gregori