PRURITI ADOLESCENZIALI

Nella Milano del boom economico, periferia est, vicino alla Stazione di Lambrate dove, lo dice il nome stesso, scorre il fiume Lambro, Lele e Dario, terminato il 2° anno di Liceo al Parini, avevano il problema di riempire i lunghi pomeriggi estivi.
Uno dei modi, era quello di andare a pescare i gamberi di fiume passeggiando lungo l’alveo del Lambro che, in quel luogo, formava ampie anse con l’acqua che, a mala pena, lambiva i loro polpacci.
Durante una delle passeggiate a mollo nelle acque del fiume scorsero, in cima a un bordo ricoperto di papaveri rossi che si dilatava in un vasto campo di grano, una catapecchia. Da questa usciva del fumo da un piccolo tubo in lamiera che, partendo dal tetto in eternit, svettava verso il cielo di un azzurro incerto.
Non ci fecero caso e proseguirono il loro stanco vagabondare a caccia di gamberetti.
L’indomani, rifacendo lo stesso tragitto e incuriositi dal solito fumo, che denotava la presenza di qualcuno, salirono sulla sponda opposta e si acquattarono sotto le felci di un piccolo boschetto per vedere che tipo di movimento si svolgeva lungo la sponda di fronte.
Nella catapecchia entravano solo uomini, uno per volta e, dopo una permanenza che non superava mai l’ora, uscivano col sorriso sulle labbra salutando, educatamente, la persona successiva che dava loro il cambio.
Tra i vari uomini che frequentavano questo misero luogo, ve n’era uno completamente vestito di bianco, con un cappello beige a falde larghe contornato da un’appariscente banda bianca. Era l’unico che, quando usciva col cappello in mano, salutasse la persona all’interno con un caloroso “Ciao Nella, a settimana prossima”.
Lele e Dario, presi da una curiosità morbosa, tornati a casa, fecero un sacco di domande agli amici della loro compagnia, soprattutto ai ragazzi più grandi i quali aprirono loro un mondo fino allora sconosciuto.
Da quel momento lasciarono a casa il retino e tutti i giorni, in seguito al suggerimento degli amici, dirottarono le loro attenzioni il giovedì e il sabato pomeriggio. Venne anche loro detto che il traffico maggiore avveniva soprattutto durante il fine mese, dal 27 in poi, tutti i pomeriggi, esclusa la domenica.
Un via vai indescrivibile di uomini che, in silente pellegrinaggio, andavano a comprare attimi di piacere, prima o dopo una dura giornata di lavoro in fonderia alla vicina Innocenti. Alcuni raccontavano di lavoratori che venivano in bici, ancor prima di iniziare il turno di notte alle Acciaierie Falk di Sesto S. Giovanni.
Col vento contrario Lele e Dario percepivano, dal fumo del camino, un vago aroma di caffè: segno tangibile di una breve sosta ristoratrice successiva ai momenti frenetici di un vuoto rapporto carnale.
Venne un giorno che l’andirivieni cessò. Nessun uomo aveva messo più piede nella catapecchia. Ad eccezione di quel signore distinto, vestito di bianco, che tutti i venerdì pomeriggio portava un mazzo di rose rosse e lo appoggiava ai piedi della sgangherata porta della baracca, ormai vuota e contornata solo da erbacce.
Girava voce che la donna, che viveva e lavorava in questo posto lontano da occhi indiscreti, fosse stata bellissima, e che era scivolata dalla cima dell’argine mentre stava scendendo verso il fiume per le abluzioni serali, quelle di fine giornata lavorativa. Malauguratamente sbatté la testa contro un sasso e finì i suoi giorni tra lo sciacquio dell’acqua e il canto delle cicale.
“Ciao Nella, a venerdì prossimo” continuava tutte le settimane a cantilenare l’uomo vestito di bianco che non volle mai creder morta la sua Marinella, e la immaginava volata in cielo, sopra una stella.
Contaminazione musicale dal testo della “Canzone di Marinella” di Fabrizio de André
Racconto tratto dalla raccolta “Storie di tanti”