A MARGINE DI UN’UTOPIA

“E’ ora, è ora, potere a chi lavora!
E’ ora, è ora, potere a chi lavora!”
Sono impacchettato, nella piazza dominata dalla Basilica di San Petronio, dove il Sindacato ha organizzato uno sciopero che, a detta degli organizzatori, corre voce sia ben riuscito. Striscioni con i nomi delle aziende in vertenza sindacale, bandiere rosse al vento che impediscono la vista del palco.
Bologna, fin dal mattino, è stata un formicolio di operai, venuti in treno o con i pullman, che avevano pacificamente invaso le vie di accesso alla piazza.
“E’ ora, è ora, potere a chi lavora!
E’ ora, è ora, potere a chi lavora!”
Sulla mia destra, oltre a tre compagni che lavorano con me nel reparto forgiatura, c’è un uomo, ancora con la fuliggine addosso e la tuta sporca di olio. Probabilmente ha completato il turno di notte in fonderia e non voleva mancare a questo importante appuntamento. Mi sembra di averlo già visto, ma non riesco a focalizzare dove.
In verità non capisco che viso possa avere né, tantomeno, conosco il suo nome, con che timbro di voce possa parlare e cantare in mezzo a questo frastuono. Non so dargli un’età e neppure immaginare il colore dei suoi capelli, perché coperti da un berretto di tela blu… eppure ho davanti a me qualcuno che … Improvvisamente, nella mia fantasia di giovane e illuso operaio metalmeccanico, scorgo la sua immagine: quella di un eroe, giovane e bello. Adesso mi è tutto chiaro e ricordo benissimo chi è. E’ il figlio di Nikita, il mitico conduttore di motrici a carbone Breda, e gli assomiglia un casino … due gocce d’acqua!
Ho perfettamente chiara l’epoca dei fatti, quando Nikita, nei primi anni del secolo XX, faceva il macchinista ferroviere. Ho studiato bene quei tempi, quando frequentavo le scuole serali, in cui si cominciava la guerra santa dei pezzenti, quando qualcuno li paragonava a un treno, anche lui un mito di progresso, d’innovazione e di collegamento, lanciato attraverso i vari stati europei.
E la locomotiva, per la gente comune, soprattutto agli occhi dei contadini, sembrava fosse uno strano mostro, che l’uomo riusciva a dominare sia con il cervello sia con la forza muscolare. Ruggendo, si lasciava dietro distanze che fino ad allora sembravano impossibili da percorrere in così breve tempo. Sembrava avesse un potere tremendo dentro il suo cuore di carbone, una forza paragonabile a quella della dinamite.
Ma i libri e i giornali di quel tempo, che leggevo appassionatamente, mi raccontavano di un’altra grande forza che si stava imponendo con parole che dicevano: “Gli uomini sono tutti uguali”. Iniziava a scoppiare, agli inizi del ‘900, la bomba proletaria contro i re e i tiranni.
Nikita ogni tanto vedeva sfilare, lungo i binari della sua stazione, i lucenti vagoni dell’Orient Express.
Scorgeva la ricchezza oltre i finestrini e, nel contempo lungo il Binario 1, la gente col cappello in mano e i fazzoletti alzati in segno di saluto. Pensava al magro giorno che la sua gente era costretta a trascorrere, mentre scorreva un treno pieno di velluti e di ori.
La storia non dice che cosa accadde e perché Nikita prese la decisione. Forse era una rabbia antica, fatta di generazioni senza nome che urlavano vendetta, che gli accecò il cuore. Dimenticò la pietà e scordò la sua bontà.
E un giorno come gli altri, ma forse con più rabbia dentro, Nikita pensò di poter avere il modo di riparare a qualche torto. Salì sul mostro di ferro e acciaio che dormiva nel deposito, cercò di mandar via la sua paura e, prima di pensare a quello che stava facendo, la sua locomotiva iniziò a divorare la pianura. Il vapore sibilava e gonfiava l’aria, quasi fosse una cosa viva, e sembrava dire ai contadini curvi a zappare: “Fratelli, non temete, sto correndo incontro al mio dovere. La giustizia proletaria trionferà!” E intanto la locomotiva correva, correva sempre più velocemente e correva verso la morte. Niente ormai poteva trattenere l’immensa forza distruttrice. Aspettava solo lo schianto!
La storia, lo ricordo molto bene, ci racconta come finì la folle corsa, con la macchina deviata lungo un binario morto e col suo ultimo grido, quasi fosse un animale, mentre eruttava lapilli. La macchina esplose e il fumo si sparse attorno, nero e pesante. Raccolsero Nikita che ancora respirava.
Ma a noi, o meglio a me, nostalgico in questa piazza, piace pensarlo ancora dietro al motore mentre fa correre la sua macchina, sempre in attesa di una notizia che racconti di una locomotiva umana lanciata contro l’ingiustizia.
Marx, togliti la polvere d’addosso e scendi dal solaio a darci una mano!
Contaminazione musicale dal testo della canzone “La locomotiva” di Francesco Guccini
Racconto tratto dalla raccolta “Storie di tanti”