LETTERA AD ALEXIS

LETTERA AD ALEXIS

Alexis, alias “Il trattato della lotta vana”, è l’opera prima di una giovanissima Marguerite Yourcenar, pubblicata nel 1929. Il racconto si sviluppa come una lettera destinata alla moglie Monique, abbandonata dal marito Alexis dopo un tormentato travaglio interiore.

Il libro è un’unica e intensa confessione epistolare con cui l’autrice affronta il delicato tormento intimo di un giovane che vuole riscattarsi dall’ipocrisia della sua condizione e liberare se stesso e il proprio matrimonio dal peso incombente di una vita vissuta sempre nell’ombra.

A questa lettera nessuno ha mai dato seguito.

Mi sono calato nei panni di un personaggio femminile, un’ipotetica nipote, e gli ho scritto.

“Ciao zio Alexis,

sono Eugenie, la figlia di tua cognata Henriette. Non abbiamo mai avuto il piacere d’incontrarci anche perché le vicende delle nostre vite non si sono mai sfiorate.

Mamma è appena deceduta all’ospedale di Rouen e tra le sue volontà mi ha lasciato questa lunghissima lettera, con fogli tutti sgualciti, che avevi scritto a zia Monique, tanti anni orsono, dove raccontavi il travaglio del tuo stato di marito che, con l’andar del tempo, non eri più in grado di sostenere.

La preghiera di mamma è stata quella di risponderti, a nome di zia Monique (poverina non si è mai più ripresa dopo la lettura di questa lunghissima lettera dove la parola “moglie” non compare mai, lasciando spazio solo al termine “amica”!).

Premetto, ma questo forse già lo sai, che sono lesbica e quindi sto riflettendo sulle difficoltà che hai avuto e anch’io continuo a provare in questa società che non è molto cambiata dopo i fatti raccontati nella tua lettera.

Qual è lo scontro più inutile che un essere umano possa intraprendere, se non la lotta contro le proprie inclinazioni e quindi contro se stesso? Non esiste pace e soprattutto non c’è un vincitore per chi, al fine di assecondare le aspettative altrui e in virtù di una rigida rispettabilità precostituita, nega la propria indole, fino al raggiungimento dell’infelicità assoluta, quella che immancabilmente si trasmette anche alle persone a lui vicine.

Siamo arrivati al punto.

Tu eri un mantenuto da zia Monique, mentre io amo Ruth, la mia compagna che ho conosciuto a Berlino nel ’66 quando frequentavo il gruppo Baader-Meinhof, diventando poi amica di Ulrike.

Ho vissuto nella Kommune 1, (il nome era stato scelto da Rudi Dutschke) dove il motto era: “Frei Liebe fur Alle”. Un nuovo modello di vita quotidiana dove l’uscita dalla famiglia, che rappresentava la prima cellula dello stato borghese, era l’inizio della ricerca di nuove armonie. Seduti, nudi, al tavolo per la prima colazione a base di latte e canne e poi, tutti insieme sul letto … appassionatamente. Amore e politica erano saldati fra loro.

Porto sempre con me il breve saggio “Walking, or the Wild” di Thoreau, dove una frase recita “… e camminare sulla terra di Dio significherà attraversare senza permesso la terra di qualche gentiluomo.” La mia esistenza dipende in gran parte dalle paludi che circondano la città, e non dai giardini ben coltivati nel villaggio.

Ruth ed io camminiamo assieme. Un approccio alla coppia sostanzialmente agli antipodi rispetto alla tua.

Dopo un lungo travaglio interiore tu avevi però deciso di abbandonare la zia e tuo figlio Daniel. E’ stato sicuramente un doloroso viaggio di crescita legato al tuo tormento esistenziale, per la fatica innaturale di quella quotidiana lotta contro te stesso, ma anche dello strazio passivo di zia Monique che, prigioniera anche lei dei rigori morali del vostro tempo, ha vissuto un’esistenza desolata e per questo ancora più sciupata rispetto alla tua.

Cosa rende talvolta così difficile decidere la direzione da scegliere? La natura possiede, io ritengo, un magnetismo sottile in grado di guidarci nella giusta direzione. Solo una è quella giusta. Vorremmo avanzare lungo quella strada, non ancora percorsa nel mondo reale, che rappresenta il simbolo perfetto del cammino che amiamo intraprendere nel mondo interiore e ideale. E’ indubbiamente difficile scegliere la direzione, se essa non è ancora distintamente tracciata in noi.

Fortunatamente non ho avuto i tuoi problemi legati alla capacità di assecondare la mia natura e al coraggio di saper vivere in armonia tra anima e corpo, trasudando amore a dispetto di qualsiasi morale.

La soggezione a un qualcosa di superiore, che ti ha sempre condizionato, che ti ha fatto sentire inadatto e peccatore, la capisco e, fortunatamente, non l’ho vissuta con la stessa violenza.

L’attaccamento, la fiducia e il senso di pace che ritrovavi con zia Monique hanno sicuramente aumentato il senso di colpa per averle provocato la sofferenza in un matrimonio che non si è alimentato di un amore appassionato. Per fortuna avevi trovato nella musica un motivo che è riuscito a ricongiungerti con te stesso e farti arrivare, quantomeno, alla convivenza con qualcosa cui non ti è stato dato di scegliere, a una consapevolezza che, se pur non ti ha mai portato alla felicità, ti ha permesso almeno di assaporare la serenità: l’amore per la musica.

E’ quella serenità che sto vivendo con Ruth, fatta di lotte in comune. Siamo proprio reduci da una recente occupazione alla Sorbona, “Ce n’est qu’un début, continuons le combat!” E’ anche una vita di dolcezze, di ammiccamenti, di risate sfrenate alla faccia di questa società che, ancor oggi, ci bolla e ci ghettizza.

Un abbraccio.”      

Tua  nipote  Eugénie

Parigi – Saint Dénis, 4 novembre 1968

                                                  Racconto tratto dalla raccolta “Storie di tanti”